04 Mag CORONAVIRUS E SALUTE MENTALE: COME SBARRARE LA PORTA DI CASA ANCHE AD ANSIA E DEPRESSIONE
Covid-19. Un acronimo che negli ultimi mesi ha letteralmente stravolto le vite di miliardi di persone di ogni ceto sociale, razza, religione, mestiere, appartenenza geografica, alterandone in maniera considerevole abitudini, disposizioni e comportamenti; modificando spazi, riorganizzando relazioni sociali, cambiando radicalmente lo stile di vita quotidiano.
Improvvisamente ci siamo ritrovati tutti in una situazione nuova, in un contesto che adesso come mai è divenuto incerto, insicuro e temporalmente indeterminato. L’unica finestra sul mondo: i mass-media, da cui apprendiamo che questo è un virus nuovo, che non è mai comparso prima nell’uomo, che potrebbe essere letale e, dolcis in fundo, che non esiste una cura, ne tantomeno un vaccino. Di li a poco è cominciata la “maratona” di dati statistici forniti dall’OMS e dalla Protezione Civile. Numero di contagi in un esponenziale crescendo, “puntini” rossi sulla cartina dell’Italia (e del mondo intero) che si ingrandivano col passare delle ore, notizie di ultima ora che annunciavano un incremento di decessi di 800 unità in più rispetto al giorno precedente, edizione straordinarie dei telegiornali e così via.
In un contesto di preoccupazione e apprensione continua ci siamo trovati a fare i conti con una delle emozioni primarie dell’essere umano: la paura. Una paura resa ancor più saliente dalle continue disposizioni governative che, nell’estremo tentativo di contrastare la mortale minaccia invisibile, imponevano continue restrizioni e limiti alla libertà di spostamento, fino alla celeberrima quarantena, ovvero una segregazione coatta dettata da motivi sanitari, per tutti, nessuno escluso (a parte determinate categorie lavorative). Una condizione, è stato detto, che non si era mai più verificata dalla fine della seconda Grande Guerra. Quando parlo di paura sto parlando di un’emozione fondamentale, di estrema utilità per l’essere umano; è tramite la paura infatti che siamo in grado di riconoscere dei pericoli, salvaguardare la nostra incolumità, mettendo in atto strategie e comportamenti per fronteggiare la possibile minaccia: combattendola (fight) o evitandola (flight). Nel caso del Coronavirus la questione si è però complicata ulteriormente: ma come si può combattere qualcosa che non si conosce? Come si può evitare qualcosa che non si vede? La parola “contagio” è divenuta presto la spada di Damocle che pendeva su ognuno di noi, l’altro è divenuto un potenziale “untore” pronto a infettarci; noi stessi, in alcuni casi siamo stati trattati come possibili “portatori di sventura” quando, ad esempio, durante uno spostamento necessario siamo stati fermati da uomini in divisa che, con fare sospetto, ci puntavano sulla fronte uno strumento atto a misurare la temperatura corporea, chiedendoci documenti e motivo dello spostamento, autodichiarazioni ed altro. Di certo situazioni non ordinarie che hanno alimentato la nostra già accentuata paura e proprio il continuo rapportarci con la paura che ha avuto, per alcuni più che per altri, delle conseguenze sul piano psicologico, che a sua volta hanno interessato quello somatico e comportamentale. La tranquillità del quotidiano è stata letteralmente scardinata da stressor, ovvero stimoli fonte di stress: la paura di essere contagiati, la noia della segregazione in casa, la paura di restare privi di beni necessari, l’incertezza di aiuti di tipo economico, le controversie politiche e di opinioni in televisione. E da qui al provare determinati “stati” il passo è stato breve: insonnia, tachicardia, sudorazione improvvisa e senza causa apparente, difficoltà di respirazione in determinati momenti della giornata, dolori localizzati soprattutto nel petto o alla “bocca dello stomaco”, eccessivo nervosismo, evidente perdita o aumento del peso, umore depresso, mancanza di una visione del futuro positiva … sintomi, questi, che possono essere ricondotti a stati ansiogeni e depressione acuta (per coloro che combattono il virus in prima linea, come medici e infermieri, la questione si complica ulteriormente in quanto costoro sono più inclini a sviluppare quello che viene chiamato PTSD (Post Traumatic Stress Disorder), ovvero Disturbo Post-traumatico da Stress). Che fare quindi? Come impedire che il coronavirus si prenda anche il nostro benessere mentale?
La risposta può essere trovata nello stesso strumento che sta alimentando le nostre paure: la quarantena stessa. Mi spiego meglio. Molto spesso stressor causa di ansia si hanno in una situazione di iperstimolazione, ovvero troppi stimoli insieme che comportano un sovraccarico mentale come quello che molti provavano durante il frenetico ritmo di vita del periodo ante-virus. Attualmente stiamo vivendo in un regime di falsa ipostimolazione; falsa perché se ci guardiamo bene intorno di stimoli ne riceviamo tanti anche ora, solo che la nostra mente recepisce solo quelli giudicati più salienti, che in questo preciso periodo, sono tutti negativi e sfavorevoli. La quarantena ci ha imposto di “fermarci” da tutto. Ebbene quale migliore disposizione fisica e mentale è migliore per un processo di introspezione se non quella di essere “fermi”. È stato detto che è proprio in questo periodo di segregazione che ognuno fa vedere chi è realmente, che viene fuori il suo vero io. Siamo sicuri di conoscere realmente chi siamo? Cosa vogliamo e perché? Questa quarantena ci da la possibilità di farlo. E possibilità del genere capitano molto raramente nella vita. In una situazione in cui siamo stati costretti a “staccare la spina” da tutto e tutti abbiamo la possibilità di ricongiungerci con noi stessi. Come? Imparando a vivere questo periodo serenamente, giorno per giorno; imparando sì a strutturare le nostre giornate, ma anche a lasciare che sia la nostra creatività ad improvvisare, proprio come un musicista jazz che sale sul palco senza aver mai dato un’occhiata allo spartito del pezzo che dovrà suonare in pubblico; imparando a lasciarsi andare alle proprie passioni e ai propri hobbies, per quanto banali e privi di senso possano apparire ai nostri occhi. Coltivandoli possiamo rimanere esterrefatti dal talento di cui siamo in possesso e che, per scelte dettate via via dalla vita, abbiamo accantonato e magari dimenticato di avere. Imparare ad essere sempre informati, ma sempre mantenendo un certo “distacco” dalle fonti che ci causano stress e ansia, con la convinzione che comunque il mondo non finirà e che un domani avremo tutti delle storie da raccontare. Imparare a dedicare tempo a mogli, mariti e figli riuscendo a gestire le proprie emozioni e sentimenti, con la consapevolezza che anche loro stanno sperimentando le nostre stesse paure e incertezze. Imparare a trovare un compromesso tra ciò che si deve e ciò che si vuole fare, scegliendo di volta in volta attività piacevoli da fare da soli, in famiglia, oppure tra amici, tramite l’ausilio di videochiamate. Tutte queste modalità aumentano il nostro senso di autoefficacia, continuando a farci sentire parte di una società attiva. Imparare a farci domande e lasciare che sia il nostro inconscio a trovare le risposte (l’inconscio mira sempre al raggiungimento del benessere). Imparare a sorridere a quella persona che vediamo allo specchio la mattina appena alzati; in fondo, sta combattendo anch’egli una guerra, e continuerà a combatterla, quando affronterà le sfide che verranno nei prossimi mesi, quando volente o nolente, ad ognuno di noi sarà chiesto di modificare le nostre abitudini e a “reinventarci” nella società. Vorrei concludere con una frase di David Grossman, uno scrittore israeliano, che parlando del Covid-19 ha tenuto a precisare che anche se le cose potrebbero cambiare considerevolmente, alcune definitivamente, noi continueremo a esserci; e in fondo, cos’è la vita se non un continuo cambiamento?
“Quando l’epidemia finirà, non è da escludere che ci sia chi non vorrà tornare alla sua vita precedente. Chi, potendo, lascerà un posto di lavoro che per anni lo ha soffocato e oppresso. Chi deciderà di abbandonare la famiglia, di dire addio al coniuge o al partner. Di mettere al mondo un figlio o di non volere figli. Di fare coming out. Ci sarà chi comincerà a credere in Dio e chi smetterà di credere in lui.” DAVID GROSSMAN.