Ansia e depressione: quando è utile ricorrere ai farmaci e quando è consigliabile invece la psicoterapia?

Ansia e depressione sono state rinominate “mali del secolo” in quanto moltissime persone sembrano affette da sintomi riconducibili a uno dei due stati. Spessissimo se ne sente parlare; molte sono le persone che dichiarano di accusarne i sintomi e, molte di queste spesso ricorrono ad un uso massiccio di farmaci per cercare di ristabilire una condizione di benessere. Spesso mi vengono rivolte domande in merito la dannosità dei farmaci, la durata massima in termini di assunzione e soprattutto se è meglio propendere per l’utilizzo di farmaci o per la psicoterapia. Nel cercare di fornire delle risposte è utile procedere con ordine presentando dapprima le due sintomatologie: in cosa consistono e in cosa si differenziano.

Con il termine Ansia si fa riferimento ad uno stato di tensione diffusa e persistente, in genere associato ad una condizione di allerta verso stimoli esterni. La parola ansia deriva dal latino angere, che significa “stringere”. È possibile quindi già farsi un’idea delle spiacevoli sensazioni che possono accompagnare questo termine; sensazioni che spaziano da un sentimento di agitazione, apprensione e paura. Nella maggior parte dei casi queste emozioni sono accompagnate da sensazioni fisiche quali palpitazioni, sudorazione, dolori localizzati nella zona toracica, tremori ed anche sensazioni di nausea.

Sia il sentimento di paura sia l’ansia che ne deriva sono emozioni necessarie ed essenziali per l’essere umano in quanto la paura è una risposta emotiva ad una minaccia imminente mentre l’ansia è un sentimento di anticipazione di una possibile minaccia futura. Entrambe predispongo quindi l’esse umano all’azione, sia che si tratti di evitamento, fuga o affronto dello stimolo minaccioso. Si parla invece di disturbi d’ansia quando il sentimento di paura e preoccupazione si rivela infondato e soprattutto persistente nel tempo. Sovente questi disturbi sono cosi invalidanti che causano un disagio clinicamente significativo tale da compromettere il funzionamento della persona a livello lavorativo e sociale.

I farmaci che vengono impiegati nel controllo dell’ansia vengono definiti ansioliticie appartengono alla famiglia delle benzodiazepine. Le benzodiazepine (BDZ) sono farmaci ad effetto immediato (minuti) e proprio per la loro rapidità d’effetto sono diventate molto popolari. Le BDZ riducono l’ansia attraverso il potenziamento dell’azione dell’acido gamma-aminobutirrico. Producono inoltre sedazione e rilassamento muscolare e inducono il sonno.

Con il termine Depressionesi fa invece riferimento ad un disturbo dell’umore, ovvero quella funzione psichica che accompagna l’adattamento al nostro mondo interno, psicologico e a quello esterno. I disturbi depressivi abbracciano una vasta serie di sottocategorie specifiche, per cui vengono ulteriormente suddivisi in, ad esempio, disturbo depressivo maggiore, disturbo depressivo persistente, disturbo depressivo indotto da sostanze, disturbo disforico premestruale e così via. Il disturbo depressivo maggiore rappresenta la condizione classica in questo gruppo di disturbi. Chi soffre di depressionesperimenta angoscia persistente, perdita di interesse nelle attività che normalmente danno piacere e difficoltà nello svolgimento anche delle più semplici azioni quotidiane con conseguenze negative sulle relazioni interpersonali.

I farmaci per il trattamento della depressione vengono definiti antidepressivi. Con questo termine vengono designate le categorie farmacologiche che agiscono sui neurotrasmettitori noradrenalina, serotonina e dopamina. La principale differenza tra antidepressivi e ansiolitici è la latenza di azione: mentre negli ansiolitici è immediata, negli antidepressivi necessita di 2-3 settimane prima di cominciare a fare effetto. Gli antidepressivi (AD) sono in grado di risolvere completamente l’episodio depressivo, con ritorno alla condizioni di premalattia. Come già detto i miglioramenti indotti dal farmaco necessitano di un certo lasso di tempo di circa 2 o 3 settimane per fare effetto. Durante questo lasso di tempo è altresì possibile che la sintomatologia si acuisca (effetto bifasico degli antidepressivi). È doveroso quindi avvisare il paziente di questo possibile effetto transitorio.

 

Effetti collaterali dei farmaci:

Chiarite le differenze tra le due sintomatologie e utile vedere se, e in quali condizioni è necessario ricorrere ai farmaci per il loro trattamento, e quando è possibile percorrere altre strade. Come la maggior parte dei farmaci anche gli antidepressivi e gli ansiolitici hanno un effetto terapeutico: eliminano il malessere ripristinando una condizione di omeostasi, ovvero di stabilità. Tuttavia bisogna fare i conti anche con l’altro lato della medaglia, ovvero con tutta quella costellazione di effetti collaterali a cui si potrebbe andare incontro quando si assumono farmaci psicotropi. Particolare attenzione va posta ai processi di eliminazione, cioè di smaltimento, principalmente a carico dei reni e del fegato. Condizioni quali l’età avanzata o patologie a carico dei suddetti organi possono rappresentare un fattore di rischio. Le benzodiazepine, per il trattamento dell’ansia, presentano effetti collaterali proporzionali alla dose di somministrazione. Tra i vari effetti collaterali vi sono: eccessiva sonnolenza, rallentamento psicomotorio, disartria e diminuzione delle capacità cognitive. Ne consegue che questo tipo di farmaci sono altamente sconsigliati a chi svolge un lavoro basato sulla reattività o lavori che richiedano la guida di autoveicoli, in quanto rallentano i riflessi peggiorando di conseguenza le performance lavorative e rappresentando di fatto un pericolo per se e per gli altri guidatori. Un altro svantaggio delle BDZ è il fenomeno della tachifilassi: un dosaggio inizialmente efficace perde dopo qualche tempo il suo potere, necessitando di aumenti sempre maggiori di dosaggio per ottenere lo stesso risultato che si otteneva precedentemente con dosaggi minori. Un problema ulteriore potrebbe essere rappresentato dallo sviluppo di una dipendenza dal farmaco con una vera e propria sindrome da astinenza nel caso si interrompa bruscamente la sua assunzione. Questo è però un fenomeno che si presenta molto raramente.

Per quanto concerne gli antidepressivi (AD) sono presenti alcuni effetti collaterali iniziali, proprio durante le prime settimane di assunzione, quando non si vedono ancora gli effetti benefici del farmaco. Tra questi effetti sgradevoli iniziali potrebbero comparire: stipsi, nausea e, come già detto, una possibile acutizzazione dei sintomi depressivi. Questi, tuttavia, sono effetti transitori in attesa che il farmaco cominci la sua azione. Tra gli effetti collaterali veri e propri gli AD comportano un significativo aumento di peso e significativi problemi della sessualità. Ne consegue che queste problematiche sono particolarmente avvertite dalle persone ancora in giovane età. L’aumento del peso è dovuto unicamente all’aumento dell’appetito conseguente l’assunzione del farmaco. Questo perché gli AD stimolano l’istamina, ovvero il recettore umano dell’appetito. Per quanto riguarda i problemi legati alla sessualità, nelle donne potrebbero verificarsi problemi di anorgasmia (impossibilità a raggiungere l’orgasmo); nell’uomo fenomeni di eiaculazione ritardata fino ad essere completamente assente.

La domanda che sorge è allora la seguente: quando è utile ricorrere ai farmaci e quando viceversa sono consigliabili altre vie?

Una domanda questa a cui non è assolutamente semplice fornire una risposta. A tutt’oggi esiste un’accesa diatriba tra psichiatri, psicoterapeuti e psicologi circa la propensione per gli psicofarmaci e per la psicoterapia. Alcuni psicoterapeuti condannano l’utilizzo dei farmaci (mi riferisco unicamente nel trattamento dell’ansia e della depressione e non ad altri tipi di disturbi) in quanto rallentano la psicoterapia, di conseguenza allungando di molto i tempi di risoluzione del sintomo. Alcuni psichiatri e specialisti della salute mentale, per contro, sostengono invece che la psicofarmacologia debba essere usata come strumento principale nel maggior numero dei casi, sottovalutando o sminuendo l’efficacia della psicoterapia (affermazione quest’ultima ampiamente smentita dalla mole di evidenze scientifiche a favore dell’efficacia dei trattamenti psicoterapeutici. Sono presenti poi in letteratura ampi lavori scientifici che hanno accertato l’ipotesi che la psicoterapia introduca cambiamenti funzionali del cervello simili a quelli indotti dalla terapia farmacologica). Altri ancora sostengono l’utilizzo combinato della farmacoterapia – psicoterapia. Vi sono poi coloro che parteggiano per la psicoterapia in presenza di un disturbo lieve o moderato, mentre sono a favore dei farmaci quando il disturbo è di entità grave.

Secondo il parere di chi scrive ogni affermazione precedente può essere giusta, così come imprecisa. Non è assolutamente possibile effettuare una generalizzazione sommaria tale da essere in grado di schierarsi per una concezione piuttosto che per un’altra. Ogni caso è un caso a se stante, di conseguenza deve essere valutato e vagliato attentamente. Solo allora è possibile optare per una via da intraprendere piuttosto che per un’altra. Personalmente posso affermare che un buon modo per intervenire sia quello di somministrare immediatamente un farmaco quando il paziente è in serio pericolo (come, ad esempio, possibili intenzioni suicidarie) o quando non è in grado di entrare in relazione col terapeuta. In questo caso il farmaco risulta molto utile nel “mettere in sicurezza” la persona. Quando questo stato di sicurezza sarà ripristinato allora è consigliabile avvalersi anche di un percorso psicoterapico, nella previsione di diminuire sempre più le dosi fino ad eliminare completamente il medicinale. Vi sono poi quei casi in cui il malessere avvertito è di natura reattiva, ovvero si crea appunto come reazione a dei particolari eventi stressanti, oppure i sintomi non sono così gravi da propendere per l’introduzione di un farmaco. In questi caso è possibile procedere unicamente con un percorso di psicoterapia. Il compito principale  del terapeuta sarà quello di scoprire quali cause hanno generato il sintomo e soprattutto quali sono le condizioni che lo mantengono, ed agire conseguentemente su quelle. Vi sono poi moltissimi casi per i quali le ricerche hanno mostrato che l’approccio integrato di psicoterapia e psicofarmacologia produce i maggiori effetti di cura.

Ne consegue che la risposta alla domanda quando sono meglio i farmaci e quando è meglio la psicoterapia dipende dal caso stesso, caso che è individuale, quindi non generalizzabile ad un’altra persona. Una cosa molto importante è che l’assunzione di farmaci deve essere prescritta e seguita da un medico; così come non è possibile alterare le dosi prescritte da soli, ne tantomeno sospenderne l’utilizzo senza previo consenso del medico o dello psichiatra curante.